31 marzo 2013

Comedown Machine, il nuovo lavoro dei The Strokes lascia perplessi



Al primo ascolto ero rimasto perplesso e deluso dal nuovo lavoro dei The Strokes, sono un loro fan dai tempi del loro primo album Is this it e questo lavoro mi ha spiazzato.
Forse la formazione capitanata da Casablancas ha voluto distanziarsi dalle loro precedenti produzioni ricercando influenze diverse, spaziando dalle sonorità più legate al mondo della musica anni ’80 e della musica funky e per questo al primo impatto l’album lascia quasi sconvolti.
In generale rimango dell’idea che la band americana sia riuscita a creare il loro album peggiore ma che riesce comunque a regalare momenti rock degni della band.

Tap out – Non poteva esserci inizio peggiore per un album che lascia perplessi, il falsetto di Casablancas sfiora il limite dell’insopportabile

All the time – Ritroviamo le sonorità tipiche degli Strokes, il pezzo rispecchia poco o niente l’animo dell’intero album

One way trigger – Torna un falsetto discutibile del cantante, il ritmo è veloce e coinvolgente ma non convince, la voce di Casablancas in alcuni momenti rovina tutto, richiamo innegabile a Take on me degli A-ha al limite del plagio, canzone da dimenticare

Welcome to Japan – Forte richiamo alla musica anni 80, sonorità funky e nella totalità un brano riuscito e che si fa ascoltare con disimpegno e leggerezza

80’ comedown machine – Canzone dalle sonorità sognanti, un intermezzo piacevole, forse uno dei pezzi migliori dell’album nella sua mai banale monotonia

50/50 – Un tuffo al cuore nel risentire il suono grezzo e sporco dei The Strokes dei primi album, difficile riuscire a stare fermi e impassibili di fronte a questo pezzo puramente rock

Slow animals – Insieme al brano d’apertura il pezzo peggiore dell’album, è quasi inevitabile la tentazione di passare al brano successivo dimenticando la sua esistenza ma ammetto di aver pensato che  i Temper Trap ne potrebbero fare una fortunata e riuscitissima cover

Partners in crime – Riff veloce ma non convince, ricorda qualcosa di già ascoltato senza aggiungere nulla di nuovo, forse suonata live suonerebbe decisamente meglio

Chanches – In un album di questo tipo è la ballata perfetta, si inserisce perfettamente ma non riesce a coinvolgere

Happy ending – ma non l’avevamo già sentita? Ah no è solo una canzone uguale alle altre dell’album, potevamo anche farne a meno

Call it fame, call it karma – Una chiusura che riporta a sonorità d’altri tempi, lento e riflessivo, quasi minimalista.

Nel complesso un album da ascoltare ma che secondo me non diventerà mai un lavoro indimenticabile della band, il mio giudizio è da 6.5 ma forse perché non riesco a giudicare obiettivamente la band.

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