Al primo ascolto ero rimasto perplesso e deluso dal nuovo
lavoro dei The Strokes, sono un loro fan dai tempi del loro primo album Is this
it e questo lavoro mi ha spiazzato.
Forse la formazione capitanata da Casablancas ha voluto
distanziarsi dalle loro precedenti produzioni ricercando influenze diverse,
spaziando dalle sonorità più legate al mondo della musica anni ’80 e della
musica funky e per questo al primo impatto l’album lascia quasi sconvolti.
In generale rimango dell’idea che la band americana sia
riuscita a creare il loro album peggiore ma che riesce comunque a regalare
momenti rock degni della band.
Tap out – Non poteva esserci inizio peggiore per un album
che lascia perplessi, il falsetto di Casablancas sfiora il limite dell’insopportabile
All the time – Ritroviamo le sonorità tipiche degli Strokes,
il pezzo rispecchia poco o niente l’animo dell’intero album
One way trigger – Torna un falsetto discutibile del
cantante, il ritmo è veloce e coinvolgente ma non convince, la voce di
Casablancas in alcuni momenti rovina tutto, richiamo innegabile a Take on me
degli A-ha al limite del plagio, canzone da dimenticare
Welcome to Japan – Forte richiamo alla musica anni 80,
sonorità funky e nella totalità un brano riuscito e che si fa ascoltare con
disimpegno e leggerezza
80’ comedown machine – Canzone dalle sonorità sognanti, un
intermezzo piacevole, forse uno dei pezzi migliori dell’album nella sua mai
banale monotonia
50/50 – Un tuffo al cuore nel risentire il suono grezzo e sporco
dei The Strokes dei primi album, difficile riuscire a stare fermi e impassibili
di fronte a questo pezzo puramente rock
Slow animals – Insieme al brano d’apertura il pezzo peggiore
dell’album, è quasi inevitabile la tentazione di passare al brano successivo
dimenticando la sua esistenza ma ammetto di aver pensato che i Temper Trap ne potrebbero fare una fortunata
e riuscitissima cover
Partners in crime – Riff veloce ma non convince, ricorda
qualcosa di già ascoltato senza aggiungere nulla di nuovo, forse suonata live
suonerebbe decisamente meglio
Chanches – In un album di questo tipo è la ballata perfetta,
si inserisce perfettamente ma non riesce a coinvolgere
Happy ending – ma non l’avevamo già sentita? Ah no è solo
una canzone uguale alle altre dell’album, potevamo anche farne a meno
Call it fame, call it karma – Una chiusura che riporta a
sonorità d’altri tempi, lento e riflessivo, quasi minimalista.
Nel complesso un album da ascoltare ma che secondo me non
diventerà mai un lavoro indimenticabile della band, il mio giudizio è da 6.5 ma
forse perché non riesco a giudicare obiettivamente la band.
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